sabato 5 giugno 2010

Lust for Clubs

Un'idea buona ogni tanto mi esce. E così, durante una crisi isterica causata dalle esercitazioni di Diritto Commerciale, ho pubblicato un certo status su facebook e su questo Mark Zonda ha composto una certa canzone.

Musiche e testi qui

Sogno in technicolor #1


Il tunnel dell'alcool esiste. Io l'ho visto!

Qualcuno voleva farmi del male in pieno giorno, alla luce del sole, me lo sentivo. Camminavano lenti con me, e io non mi misi a correre, sarebbe stato peggio avere qualcuno alle calcagna senza sapere cosa volesse. Così mantenni il controllo e mi mostrai indifferente, quasi compiaciuta.

"dove mi state portando?" -chiesi con gentilezza-
"in un bel posto. ti piacciono le invenzioni?"
-annuii senza togliermi quella patina di cortesia-
"allora ti piacerà provare questo nostro prototipo."

Il resto della strada lo feci in silenzio. Le figure che mi accerchiavano continuavano a chiacchierare tra loro senza togliersi quello sguardo sbavante.
Arrivammo in un capannone illuminato da luci al neon, color bianco sporco, simile a una stazione della metro. Potevo vedere le chiazze di umidità farsi strada attraverso i muri imbiancati da poco, che non avevano resistito all'incedere dell'acqua. Sembrava che avessero messo delle pezze per farlo sembrare più... normale. Ma l'acqua vinceva sempre.

Mi posizionarono di fronte all'imbocco di un tunnel minuscolo. Una TAC con una fodera in technicolor. Colori COMPLEMENTARI. Il giallo vicino al viola, l'azzurro vicino al rosso. Dovevo scenderlo come uno scivolo, seduta su un altro cuscino in technicolor. Nel tunnel faceva caldo e non si respirava, il tessuto si arricciava e si ammalloppava, bloccandomi nelle curve senz'aria. Cedetti e usai la cannuccia di emergenza, che sporgeva dal tessuto. Respirai nuovamente e fu come scampare all'annegamento. Fu a quel punto che mi districai dall'ammasso floscio di quella giostra, scavalcai l'anello dell'imbocco e cominciai a correre senza mai guardarmi indietro.

A quel punto mi svegliai e capii perchè avevo sognato la cannuccia d'emergenza. Quella sera tornavo da una cena di compleanno solo-donne. Per la precisione 12 donne e 10 bottiglie di bianco. Tornando a casa, canticchiando, tirai fuori un alcool test usa e getta che mi hanno regalato all'università. Come potrebbe un ubriaco fare una cosa del genere? Bisogna rompere due tappetti all'estremità della cannuccia, far scivolare via i sali da una parte e dall'altra, poi soffiare in una busta di plastica con un foro e ficcarci dentro un'estremità della cannuccia. Poi aspetti che i sali si colorino. Fino a dove diventa verde, tanto sei ubriaco.

0,5

però i cristalli erano proprio belli.

venerdì 4 giugno 2010

Uova & Sofferenze




Nel frigo non c'era niente di commestibile, ma l'Orso aveva fame, e si vedeva perchè si era già messo a tavola. Aveva provato ad apparecchiare, e quando apparecchia lui me ne accorgo perchè è diverso da come lo faccio io: io metto un tovagliolo di carta piegato a triangolo a destra del piatto, con sopra tutte le posate. Lui invece mette la forchetta a destra e il coltello a sinistra, e si dimentica sempre il tovagliolo. Una volta ho provato a fargli notare che almeno doveva invertire le posate. Lui in tutta risposta ha alzato le spalle e ha continuato a guardare nel frigo. Anche se non sembra, l'Orso conosce tutto il galateo, ma quando è in casa dimentica alcune regole. Mi ha spiegato che è perchè le conosce tutte, e sa come infrangerle.
Oggi non sapevo che pesci prendere, in frigo era rimasta una piadina rinsecchita, del prosciutto scongelato e il solito limone che con il suo giallume si vedeva attraverso il vetro opaco del cassetto della frutta&verdura. Quattro uova rosa però stavano dritte nel loro scompartimento, senza dire una parola. Tre di queste le misi nel pentolino a sodare. L'altro lo misi da parte per strapazzarlo. Mi piacciono le uova, e se degli stupidi nutrizionisti bacchettoni non avessero sparso la voce che bisogna mangiarle massimomassimo una volta a settimana, io le mangerei tutti i giorni. Quando si sodano sono bellissime: la loro morbidezza mi ricorda gli anni '90. Sempre lucide e perfette, bianchissime e piene di onore. E' la geometria che preferisco. Avrebbero dovuto fare la piramide alimentare a forma di uovo.
Tolsi con cura il guscio appuntito (spero sempre di trovarci il pulcino), le spaccai a metà, ci versai sopra la maionese e misi tutto sotto il naso dell'Orso. Compiaciuto, mise uova e prosciutto scongelato nella piadina rinsecchita e finì tutto con un morso. Ebbe da ridire sul mio uovo strapazzato.

"perchè te lo cucini così?"
"perchè mi piace.."

-pausa-

"lo sai come sono buone le uova?"
"no, come?"
"in camicia"
"non mi piacciono le cose cotte nell'acqua"

Spadellai l'uovo nel piatto e cominciai a mangiare a bocconi piccoli. L'Orso aveva voglia di parlare.

"lo sai che il figlio di Strelitzia è uscito dall'ospedale?"
"e come sta?"
"gli manca l'ospedale. e il cibo dell'ospedale. non che fosse proprio un ospedale, sembrava di più una villa. si è trovato bene, anche con i compagni di stanza"
"anche io mi trovo bene negli ospedali. mi sento al sicuro"
"è quello che ha detto anche lui. si solidarizza nei luoghi di sofferenza, più che in quelli ameni. sono le condizioni peggiori a rendere le cose straordinarie"

feci una carezza all'Orso e cominciai a sparecchiare.

Bla Bla Bla

Ecco un nuovo posto in cui blablare: da un tetto. Da così in alto è più facile distinguere le cose, recuperare la prospettiva giusta e lontana che la miopia mi ha tolto. E non parlo solo di diottrie perse sui libri del Battello a vapore e Topolino, nè su videogiochi e giochi di ruolo, nè sui tomi dell'università. Non è colpa della luce, che è sempre troppo poca, ma del fatto che quando si legge si è troppo vicini, troppo dentro alle parole. E così, a forza di sguerciarsi ed immedesimarsi, quando ore svolazzano e non si è combinato niente, alzo lo sguardo e non distinguo più le forme reali. La stanza in quel momento è popolata di personaggi, evanescenti e translucidi. Quando mi avvicino alla finestra, il vento mi schiaffeggia e mi riporta all'ordine, la città mi abbaglia con le sue luci, mi colpisce in faccia con i profumi come una palla da demolizione (cit.) e mi ricorda che ho lasciato il caffè sul fuoco.