sabato 10 luglio 2010

La rosa delle praterie planetarie #2



L'arteriosclerosi delle parole





Rosa arrivò a San Pietro in Vincoli che era quasi mezzogiorno. Il tragitto in metro le aveva appiccicato il sudore alle tempie, e la carrozza era una splendida serra con uomini a temperatura di rugiada. Quando varcò le porte scorrevoli e mise un piede dopo l'altro sulla banchina, un ragazzo chiamò un nome nell'eco della galleria rombante, e Rosa si voltò subito, per istinto. Una graziosa biondina vestita di pizzo sangallo corse fino alla sorgente del richiamo e buttò le braccia al collo del ragazzo. Le tornò in mente l'ultima volta che era stata a Londra.

Indossava un vestito blu molto corto, dei tacchi vertiginosi di un blu più chiaro. Quel giorno si era comprata un flacone di profumo alla lavanda da Liberty, 45 £; la commessa l'aveva convinta che era adatto ad una certa femminilità. L'essenza era svanita subito, coperta dal fumo di Londra; le lacrime erano diventate nere, scendevano a poco a poco mentre deglutiva; il suo cervello ci metteva sempre un po' a tradurre dall'inglese. Quella volta capì subito. I piedi di lui salirono veloci la scala, poteva ancora vederli mentre si era immobilizzata in una posizione scomposta, in piedi, traballante come un origami. Si soffiò il naso e usci muco nero. Odiava la fuliggine di quella cazzo di metropolitana.

Il flacone finì in un cassonetto di Hemel Hampstead e non ci pensò più.

Quando arrivò nella piazzetta si era scordata di contare gli scalini. La campana della chiesa l'aveva distratta e aveva pensato solo a ciò che l'aspettava all'università: una mostruosa opera di persuasione.
Dal libro di "acciai e leghe non ferrose" di Walter Nicodemi che teneva stretto sotto l'ascella, scappò il foglio sul quale aveva sgorbiato la notte prima. Troppo lucida di giorno, troppo priva di inventiva, aveva il tempo di sfogare il suo ingegno solo in facoltà, e la ricerca del suo moto perpetuo si era arrestata a far girare un cuscinetto a sfera da 7 sul braccio. Stimolata dal dormiveglia, le era nata un'idea:

"ho conosciuto persone. soffro, come tutti. gioisco, come pochi, e solo 3 volte alla volta, e non in tutto. per parlare ho bisogno di tutto il corpo a disposizione, dei muscoli facciali, di quelli delle gambe per spostare il peso da un piede all'altro, di quelli delle mani per toccare l'interlocutore. questo è la meccanica naturale dei miei gesti. tanto questa danza è armoniosa e niente è fuori posto. poi ho cominciato ad ADEGUARMI. un giorno, non so quando, ho deciso addirittura di cominciare a SOFFRIRE DI MENO. fu così che persi la prima parola. non che fosse una gran perdita. cominciai a non usare più le parole Obsolete, poi quelle Onomatopeiche. tenni i Neologismi e li usai con cautela. dimenticai molti Verbi e con loro certe sensazioni, conservai gli stati d'animo più comprensibili, facili oggetti di confidenza per le emergenze buie. lasciai perdere molti nomi di Oggetti che non usavo, tenni a mente gli equivalenti in inglese, non si sa mai. alcuni Nomi Propri non mi servivano più perchè spesso si ripetevano. un giorno cominciai a non riconoscere più le persone. molti si ripresentarono, ma usai le Parole Mondane per distrarli e riparare alla gaffe. mi chiesi se avevo qualche parola per riconoscere i profumi. non ne avevo, tanto meglio. continuai da allora a perdere molte parole, a ritrovarmi in giorni affollati di immagini mentre in altri camminavo in penombra. in una sera buia e un po' umida, mi tirai le tenebre fin sotto al mento. la mattina dopo mi svegliai e non sapevo più parlare."


A rileggerlo non le sembrò un granchè. Tra l'altro le ricordava che una storia del genere esisteva già: Il libraio di Selinunte di Vecchioni. Se anche i dormiveglia le davano idee banali, decise che non c'era più niente da fare. Non poteva neanche pensare che certe idee sono immanenti alla mente umana, radicate nelle pieghe cerebrali e negli interstizi poco usati, insomma rifiutò di appellarsi agli archetipi dell'inconscio collettivo: anche quelli esistevano già.

lunedì 5 luglio 2010

La rosa delle praterie planetarie #1

Il Risveglio



Onde radio, frequenza 90.9 MHz. La valle era gravida di una canzone di Regina Spektor, il primo picco accese la radiosveglia. A un volume un po' invadente. Invece di sobbalzare come al solito, Rosa rimase parecchio a fissare la penombra che la avvolgeva come un velo grigio. Non cercò di indovinare la canzone, né spense l'apparecchio. Sperò che il dormiveglia non l'abbandonasse subito per potersi ricordare cosa stesse sognando: di volare, ma non proprio; di nuotare in alto come se ci fosse l'acqua al posto dell'aria, di fluttuare vicino al sole, guardandolo da sotto uno specchio d'acqua, liquido e tremante, vivo nel suo irraggiamento.
Questo le ricordò quando da bambina si era ribaltata da una di quelle stupide ciambelle con i buchi per le gambe. Mentre i suoi genitori parlavano con una signora che doveva vendergli una casa, un onda, con la forza di un alito di vento, la fece ribaltare. Rosa era sempre stata convinta di essere riuscita a respirare sott'acqua, quella volta. E anche di aver parlato con Dio. La signora gridò: "la bambina!" e i suoi si precipitarono in acqua afferrandola per le caviglie. Erano in Sardegna. La ciambella finì in un cassonetto e non se ne parlò più. Questo era il suo primo ricordo.
La voce grave dello speaker interruppe i suoi pensieri mentre scivolava di nuovo nell'incoscienza. Trovò a tastoni il tasto di standby, si stiracchiò, scostò la zanzariera di velo grigio e andò in cucina.
Dopo il caffè, l'inquinamento acustico della casa peggiorò: per un paio d'ore e contemporaneamente vennero accesi la lavatrice, l'aspirapolvere, la televisione e poi anche il rasoio del padre. Il fratello no, lui usava il pennello da barba e la lametta.
"guarda, abbiamo fatto due figli vintage"
gli diceva sempre il padre, e non mancava mai di farlo la Domenica, quando tornavano a casa per pranzo portando un pacchetto stropicciato in un foglio di giornale. Una volta era una macchina fotografica tedesca da restaurare, un'altra volta un vasetto di ceramica da farmacista.

"e cos'ha di speciale questo coccetto?"
"mi serve per i batuffoli di cotone"
"guarda che li vendono già confezionati"

Era tutto fiato sprecato.
Rosa scavalcò la borsa del calcetto e aggirò con un paio di salti il suo contenuto, che era riversato a terra nel corridoio che collegava le due camere. Renato si stava radendo e sembrava di buonumore; infatti fischiettava, e non essendone capace, non lo faceva mai. Vide passare la sorella dietro di lui e le fece un cenno attraverso lo specchio. Poco dopo aveva chiuso la porta blindata dietro di sé ed era già in strada con la musica in cuffia, diretta a San Pietro in Vincoli.